La via di Francesco in Toscana https://www.laviadifrancescointoscana.it/ Fri, 20 Jan 2023 08:43:05 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.3.3 B&B Alla Battuta https://www.laviadifrancescointoscana.it/bb-alla-battuta/ Fri, 20 Jan 2023 08:19:22 +0000 https://www.laviadifrancescointoscana.it/?p=3759 L'articolo B&B Alla Battuta proviene da La via di Francesco in Toscana.

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La Via di Francesco In Toscana Anghiari – Arezzo “La Via della Croce” https://www.laviadifrancescointoscana.it/la-via-di-francesco-in-toscana-anghiari-arezzo-la-via-della-croce/ Thu, 19 Jan 2023 10:58:44 +0000 https://www.laviadifrancescointoscana.it/?p=3755 Articolo di Enrico Mencherini Per questo progetto la città di Arezzo è stata individuata come meta di un percorso sia spirituale che turistico. E’ indubbio che per motivi sia storici che artistici Arezzo possa essere considerata la “città della Croce” simbolo del percorso di vita e spirituale di San Francesco. […]

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Articolo di Enrico Mencherini

Per questo progetto la città di Arezzo è stata individuata come meta di un percorso sia spirituale che turistico. E’ indubbio che per motivi sia storici che artistici Arezzo possa essere considerata la “città della Croce” simbolo del percorso di vita e spirituale di San Francesco. Il ciclo di affreschi della Leggenda della Vera Croce di Piero della Francesco nella Basilica di San Francesco, considerato uno dei cicli pittorici più importanti al mondo e le tre straordinarie croci lignee di epoca medievale, quella di Cimabue in San Domenico, quella di Segna di Bonaventura nella Badia delle Sante Flora e Lucilla e quella del maestro di San Francesco nella Basilica omonima, anch’esse opere d’arte di rilevanza mondiale, confermano questa “vocazione”. Inoltre Arezzo è citata nella Leggenda Major ed è dipinta nel suo aspetto medievale in uno dei 28 pannelli del ciclo di affreschi realizzati da Giotto nella Basilica di San Francesco ad Assisi, quello nel quale è rappresentata la cacciata dei diavoli dalla città da parte di San Francesco. Il Santo è iconograficamente presente in pratica in tutte le più importanti chiese della città. Tutto questo fa si che Arezzo non possa che essere una delle destinazioni principali di questo importante cammino, perciò è stato deciso di percorrere questa tappa  partendo da Anghiari in direzione di Arezzo. La tappa può essere percorsa facilmente anche in senso inverso partendo da Arezzo e andando verso Anghiari, mantenendo la suddivisione in due tappe proposta oppure percorrendola anche in una sola giornata vista la lunghezza di circa 24 km, specialmente se percorsa in inverno, perché le strutture ricettive in ambito extraurbano potrebbero essere chiuse. Le distanze indicate fanno riferimento alla partenza da Anghiari e alla lunghezza totale della tappa che è stata, come indicato, suddivisa e percorsa in due tappe più brevi per permettere anche ai meno allenati o a chi vuole godersi il cammino con più calma, di percorrerlo con tranquillità. Il primo giorno  comprende la visita ad Anghiari ed il tratto di cammino di circa 8 km fino all’ Agriturismo Fattoria Caldesoni, il secondo giorno vengono percorsi i restanti 16 km di cammino fino ad Arezzo, che è visitabile il giorno stesso dell’arrivo oppure il giorno successivo soggiornando in una delle tante strutture ricettive della città.

 

PRIMO GIORNO 

 

ANGHIARI

 

La mattina del giorno di partenza è dedicata ad Anghiari, bellissimo borgo medievale inserito tra quelli più belli d’Italia, camminare per le sue stradine e i vicoli racchiusi nella cerchia muraria ancora intatta è un esperienza unica che ti trasporta come un viaggio nel tempo, all’epoca di Francesco, un medioevo vivo, florido e creativo lontano dall’iconografia cupa e fredda a cui siamo abituati. Passeggiando per le strette vie del borgo notiamo particolari inconsueti, le abitazioni in pietra arenaria,  hanno finestre piccole, imposte e porte di legno. I loro davanzali ed ingressi sono decorati con piante e fiori, il che contribuisce a colorare i vicoli e a renderli ancora più suggestivi. Il tempo scorre velocemente e suona mezzogiorno, ci fermiamo a mangiare all’ osteria “Il Cantuccio” piccolo locale tipico a conduzione familiare in piazza Garibaldi, dove è possibile gustare in un ambiente caratteristico, accogliente ed informale, piatti e dolci tipici della cucina di questo territorio della Toscana. Si segnala che in paese ci sono altri locali tipici dove poter mangiare e per chi volesse dormirci, le strutture ricettive non mancano, specialmente B&B, noi segnaliamo l’Albergo Meridiana per il buon numero di camere disponibili. 

 

IL CAMMINO

 

Partiamo dopo pranzo e raggiungiamo la “Chiesa della Croce”, qui idealmente inizia il il nostro cammino, dove è ricordato quello che riteniamo il simbolo di questa tappa e dove la presenza di Francesco è visibile e tangibile. La tradizione vuole che il Santo nel 1224 in viaggio dalla Verna, qui piantasse una croce proprio nel luogo dove si “incrociavano” i tre sentieri che collegavano Anghiari con il Casentino, Assisi ed Arezzo . Da questa sommità parte in direzione opposta alla nostra quella  che era chiamata la Ruga di San Martino, una strada medievale lunga circa 7 km  che tagliando tutta la  piana sottostante di Anghiari, dove si svolse nel 1440 la famosa battaglia tra le truppe Milanesi e quelle Fiorentine, la collega a Sansepolcro, un rettilineo che se idealmente prolungato, va a coincidere perfettamente con il convento di Montecasale, altro importante luogo francescano. 

Il cammino si inoltra nella bella campagna della Valtiberina aretina e ci porta in prossimità del torrente Sovara, alla Pieve di Santa Maria alla Sovara (c. 1,7 km), bell’esempio di preromanico dell’anno mille, inserita nel dolce paesaggio della Valtiberina Toscana che poco si discosta da quello che doveva essere in epoca medievale. Percorriamo un tratto di asfalto fino a passare il ponte sulla Sovara, qui la strada inizia a salire e ci porta fino al Castello di Valialle (c. 3,5 km).  Dell’originaria cinta muraria restano solo pochi suggestivi tratti, mentre l’antico nucleo è utilizzato per abitazioni di campagna. La chiesa in stile romanico è dedicata a S. Biagio ed è stata costruita dai Camaldolesi. All’interno i capitelli romanici ed un dipinto rappresentante la Vergine in gloria con i Santi Biagio e Romualdo rendono l’atmosfera mistica che ci compenetra ancor di più, in quella ideale per continuare il nostro cammino. Proseguiamo su una vecchia mulattiera che entra in un bosco di querce e sale verso il crinale andando a sovrapporsi ad un antico tracciato di una delle tante vie di transumanza chiamate “Maremmane” dove transitavano i pastori con  le loro greggi per andare a svernare in Maremma, come ci conferma anche un signore del posto. Ritroviamo per un breve tratto la strada asfaltata, poi il sentiero rientra nel bosco. In questi cambi di  tipologia di tracciato e relative deviazioni bisogna prestare un po’ di attenzione, perché il cammino non è segnato benissimo. Dopo poco passiamo in mezzo a due case vacanze immerse nel verde, in località Case Montirosi (c. 4,80 km), un luogo di silenzio e pace dove si godono dei stupendi panorami, che ci accompagneranno per tutto il resto della tappa. Continuiamo su una bella strada bianca carrabile e man mano che saliamo, continuando sul crinale, la strada diventa una mulattiera che, sempre incorniciata da splendidi panorami, ci porta fino alla piccola e graziosa chiesa di Santa Maria Assunta in località Casale. Facciamo pochi passi e arriviamo, scendendo lungo i bellissimi pascoli che la circondano, alla Fattoria Caldesoni (c. 8 km), agriturismo dove è possibile dormire e soggiornare nelle belle camere dell’antico casale storico, sapientemente ristrutturato ed arredato con gusto in stile rustico, con letti in ferro battuto dipinti a mano, mobili e infissi in legno di castagno massiccio.  La fattoria è condotta con il metodo biologico e i pasti somministrati naturalmente sono a base dei loro prodotti bio, serviti nell’antica Sala degli Archi.

 

SECONDO GIORNO

 

Facciamo colazione e partiamo. Dopo pochi chilometri di cammino, circa 3, passata la piccola frazione di Montemercole, arriviamo, lasciando il sentiero e riprendendo la strada bianca carrabile, alla Cooperativa Agricola Montemercole (c. 11 km), posta nel punto di quota più alto della tappa ( c. 740 mt s.l.m.), in un posto incredibilmente bello dove si gode di un panorama a 360° su tutto lo splendido territorio circostante. Da qui si può ammirare la Valtiberina fino all’Umbria, l’Appennino dall’Alpe della Luna fino al tratto Umbro-Marchigiano, l’Alpe di Catenaia, il Pratomagno ed il Casentino fino ad intravedere la piana aretina, in pratica si può ricomprendere in un unico sguardo tutto il territorio dove ha vissuto e dove si spostava San Francesco. Qui, in un ambiente bucolico di altri tempi, si allevano ovini, vacche e maiali allo stato brado. Vengono prodotti gustosi insaccati e soprattutto formaggi a latte crudo di cui “la Mattonella dolce”, che è stato premiato come uno dei migliori formaggi italiani di Fattoria. In un ambiente semplice ed accogliente si possono degustare selezioni di formaggi e salumi di loro produzione, accompagnati dai prodotti del loro orto biologico e da un ottimo vino. Michele e la sua famiglia, che si occupano del Caseificio e degli allevamenti, sono molto gentili e disponibili nel mostrare e spiegare nel dettaglio tutte le attività dell’Azienda.

Riprendiamo a camminare su una strada bianca che si inoltra in una campagna aspra e selvaggia, diventando man mano una mulattiera che per lunghi tratti percorre boschi di castagni e di querce alternati a radure. Scendiamo fino al torrente Chiassaccia e in prossimità del guado (c. 13,50 km), lasciamo il sentiero. Camminando lungo il suo corso verso valle, dopo qualche centinaio di metri troviamo i suggestivi resti di un antico ponte indicato come Romano, ma che probabilmente è più recente. Ristrutturato nel periodo Granducale, testimonia comunque, viste anche le dimensioni, che da qui passava una viabilità importante, un’antica strada che collegava Arezzo alla Valtiberina. Nelle vicinanze si trovava anche un mulino. A conferma dell’importanza storica di questa zona e della sua viabilità, ripreso il cammino in salita, dopo circa mezzo chilometro troviamo i ruderi del Castello di Pietramala (c. 14 km), importantissimo sito storico di cui però restano solo poche pietre. Questo era il Castello di provenienza dei Tarlati, la più importante famiglia nobiliare della Città di Arezzo, insieme agli Ubertini, durante il periodo medievale. Si consiglia, per salire o scendere dal sito del castello, di prendere la variante del sentiero che continua sulla strada forestale e che allunga un po’, ma evita il tratto di sentiero più impervio con fondo sconnesso e molto sassoso. 

Per il resto della tappa fino a quando scendiamo nella piana aretina, percorriamo un territorio non antropizzato, dove non incontriamo abitazioni, ma solo qualche rudere, camminando in un ambiente naturale, silenzioso e incontaminato, che favorisce il raccoglimento e l’introspezione, come fosse propedeutico all’ingresso nella città della Croce.

Quando il nostro sguardo si apre sulla piana aretina, il panorama è splendido, con la città che risalta sovrastata dalla Cattedrale ed il suo campanile, rendendola immediatamente identificabile come fulcro di un territorio bellissimo. Scendiamo verso la città lasciando la strada sterrata e, proseguendo sull’asfalto, raggiungiamo la Pieve Romanica di San Polo (c. km 19,30), antica chiesa di origine medievale, come testimoniato anche dalle iscrizioni poste a lato del portale d’ingresso. Dopo qualche centinaio di metri arriviamo ad un’altra suggestiva ed antica chiesa, il Santuario della Madonna del Giuncheto, sorto al posto di una precedente piccola chiesa, nel luogo di un apparizione mariana avvenuta nel XVI° secolo. Di fronte alla chiesa c’è un belvedere, dove è possibile ammirare un bellissimo scorcio della città.

Rimaniamo sempre sulla strada asfaltata e, camminando nella bella campagna aretina in mezzo al verde, ai vigneti ed alle ville storiche, arriviamo a quella della Tenuta di San Fabiano. Qui veniamo accolti dal Conte Borghini Baldovinetti de’ Bacci Venuti, che cordialmente ci fa visitare la sua bellissima villa e l’antica cantina. La sosta non è casuale perché il Conte è discendente di quei Bacci che commissionarono gli affreschi della Leggenda della Vera Croce a Piero della Francesca, che si trovano appunto nella “cappella Bacci” all’interno della Basilica di San Francesco, meta ultima, fisica e simbolica di questo nostro cammino.

Continuando nel percorso, ci ritroviamo all’incrocio con la cosiddetta Via dei Cappuccini che, svoltando sulla sinistra, lascia il tracciato della Via di Francesco e passando accanto alla torre medievale detta di “Gnicche”, prosegue in mezzo ai vigneti ed agli oliveti per circa un chilometro, portandoci al Convento dei Cappuccini fuori le mura, un altro interessante e suggestivo luogo Francescano. Chi scegliesse questa variante può entrare in città passando dal Borgo di Santa Croce.

Proseguendo diritto per il cammino segnato, ci ritroviamo davanti alla magnifica sagoma dell’acquedotto Vasariano, che ci indica la direzione e ci accompagna fino ai piedi delle Mura cittadine. Le oltrepassiamo utilizzando, invece di Porta Stufi, la successiva entrata, la Postierla di Pozzuolo. Da qui parte il nostro percorso “francescano della Croce” all’interno della città, che va dalla chiesa di San Domenico alla Cattedrale, passando per Piazza Vasari fino alla Pieve di Santa Maria. Scendiamo poi verso la parte bassa del centro storico dove visitiamo la chiesa della Santissima Annunziata, per proseguire con la Badia di Santa Flora e Lucilla e giungere infine alla Basilica di San Francesco, dove termina il nostro emozionante itinerario.

 

DATI TECNICI

 

TAPPA UNICA ANGHIARI AREZZO 

Lunghezza : 24,00 km 

Dislivello positivo : 800 mt

Difficoltà :T-E turistico-escursionistico (turistico è relativo al tratto in prossimità e all’interno di Anghiari e Arezzo)

 

SUDDIVISIONE IN 2 TAPPE BREVI

 

TAPPA 1 ANGHIARI – FATTORIA CALDESONI

Lunghezza : 8,00 km 

Dislivello positivo : 400 mt

Difficoltà : T-E turistico-escursionistico (turistico è relativo al tratto in prossimità e all’interno di Anghiari)

TAPPA 2 FATTORIA CALDESONI – AREZZO

Lunghezza : 16,00 km 

Dislivello positivo : 400 mt

Difficoltà : T-E turistico-escusionistico (turistico è relativo al tratto in prossimità e all’interno di Arezzo)

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LA VIA DI FRANCESCO IN TOSCANA DA ANGHIARI ALLA VERNA – 4° Giorno dall’Eremo di Cerbaiolo alla Verna https://www.laviadifrancescointoscana.it/la-via-di-francesco-in-toscana-da-anghiari-alla-verna-4-giorno-dall-eremo-di-cerbaiolo-alla-verna/ Thu, 19 Jan 2023 08:51:44 +0000 https://www.laviadifrancescointoscana.it/?p=3743 Articolo di Stefano Masetti Io e Luca ci alziamo di buon mattino e andiamo a far visita alla cappella di Sant’Antonio da Padova che visse qui per un certo periodo nel 1230. Il curioso edificio è stato costruito nel luogo dove sorgeva la capanna del santo. E’ una chiesetta strana, […]

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Articolo di Stefano Masetti

Io e Luca ci alziamo di buon mattino e andiamo a far visita alla cappella di Sant’Antonio da Padova che visse qui per un certo periodo nel 1230. Il curioso edificio è stato costruito nel luogo dove sorgeva la capanna del santo. E’ una chiesetta strana, eretta sulla sommità di una torre che ha il fianco occidentale poggiato sulla nuda roccia. Dentro la cappella, ai piedi dell’altare, c’è il letto di Sant’Antonio ovvero una pietra scavata nel pavimento. Una leggenda racconta che il santo avrebbe lasciato l’impronta del proprio corpo su uno dei tanti massi che si trovano nei pressi della cappella dopo essere svenuto a causa delle tante privazioni e delle mortificazioni alle quali era solito sottoporsi.   Da sopra la cappella parte un  sentiero che scende a Pieve Santo Stefano; è una larga strada sterrata di 5 km che attraversa una bella e panoramica campagna. Se fatta tutta in discesa, dopo alcuni giorni di cammino, sembra una piacevole passeggiata rigenerante. Ben più impegnativo sarà il lungo tratto di sentiero che ci attende per raggiungere il santuario della Verna; quasi mille metri di dislivello in salita. Per il momento io e Luca preferiamo concentrarci sulla luce del mattino  e sulla strada bianca che splende sotto un sole ancora giovane. Fra una conversazione e l’altra ci ritroviamo ad aggirarci per Pieve Santo Stefano la città del diario. Dopo aver superato un ponte che si affaccia su un desolato Tevere ancora in secca,  imbocchiamo la viuzza delle antiche prigioni che conduce alla piazza delle Logge del Grano. Non abbiamo il tempo di visitare il paese che fu distrutto completamente dai tedeschi in ritirata durante la seconda guerra mondiale. Rimasero in piedi soltanto la Chiesa della Collegiata e La Madonna dei  Lumi. Per giorni, anche dopo la partenza degli invasori, continuarono a saltare in aria importanti edifici che erano stati minati con cariche a orologeria che provocarono diverse vittime. Una distruzione totale paragonabile soltanto a quella di Cassino. Cerbaiolo e Pieve Santo Stefano accomunati da un atto di assurda barbarie. Per distrarmi da questi cupi pensieri, mentre iniziamo a salire percorrendo una lunga strada alberata, rievoco mentalmente la storia di San Francesco e della Verna che in diverse occasioni mi è capitato di raccontare durante le mie escursioni guidate sul Monte degli Angeli. Come ha fatto Francesco ad arrivarci? Mi è stato chiesto spesso. Dai documenti che abbiamo a nostra disposizione sembra che tutto abbia avuto inizio l’8 maggio 1213 quando in occasione di San Michele si celebrava a San Leo in Romagna (in quello che allora si chiamava Montefeltro) l’investitura di un giovane che prendeva per la prima volta le armi ovvero un “cavaliere novello”. Durante queste investiture, il nuovo cavaliere riceveva un solenne colpo col taglio della mano o col pugno sulla spalla da parte di un cavaliere più anziano. Una cerimonia laica all’inizio ma che poi la Chiesa verso la fine del duecento avrebbe trasformato in un rito sacro officiato da un vescovo. Non sappiamo se in quell’occasione San Francesco fu invitato alla festa essendosi la sua fama spinta ben oltre i confini di Assisi o se invece come ci dicono I fioretti fu una sua personale  iniziativa perché passava da quelle parti in compagnia di Frate Leone per coglierne qualche “frutto spirituale”. In effetti può darsi che a Francesco quelle feste gli piacessero perché  la sua massima aspirazione da bambino e nella prima gioventù era stata proprio quella di diventare cavaliere. In quell’occasione poi diventava cavaliere uno della famiglia dei conti di Montefeltro quindi un casato fra i più illustri di tutta l’Italia centrale. Ma fra gli invitati a quella festa c’era anche un nobile signore del Casentino ovvero il conte Orlando Catani da Chiusi che aveva sentito parlare di Francesco e dei suoi miracoli e che desiderava tanto conoscerlo.  Ma ecco come ci presentano la storia i fioretti: “Giugne santo Francesco a questo castello ed entra e vassene in sulla piazza, dove era radunata tutta la moltitudine di questi gentili uomini, e in fervore di spirito montò in su uno muricciolo e cominciò a predicare proponendo per tema della sua predica questa parola in volgare: “Tanto è quel bene ch’io aspetto,che ogni pena m’è diletto. E sopra questo tema, per direttamente dello Spirito Santo,predicò sì devotamente e sì profondamente,provandolo per diverse pene e martìri de’santi Apostoli (…) che ogni gente stava con gli occhi e con la mente sospesa inverso di lui,come se parlasse uno Agnolo di Dio”. Quindi partendo da una frase tratta da un romanzo cortese dove un cavaliere si riferisce all’amore che prova per la sua donzella: “Tanto è quel bene ch’io aspetto, che ogni pena m’è diletto” Francesco la traspone  rivolgendola invece a Dio mettendola in bocca ai Cavalieri di Cristo cioè i Martiri e i santi Apostoli. La sua interpretazione teatrale deve essere stata talmente coinvolgente che alla fine il conte Orlando da Chiusi concesse verbalmente a Francesco il Monte della Verna che lui possedeva insieme a tante altre proprietà. Il giullare ancora una volta aveva fatto breccia nel cuore degli uomini, divertendoli e commuovendoli. C’è comunque da considerare che era negli usi cortesi di quel tempo la possibilità di offrire un ricco dono a qualcuno anche per farsi ammirare dagli amici presenti alla festa e Francesco pur abbracciando il fermo proposito di non possedere nulla comprende e accetta anche per non offendere il donatore in pubblico che sempre secondo l’uso andava onorato e non umiliato.La coincidenza comunque è impressionante: Francesco ha predicato di pena e di diletto durante una festa cavalleresca e lì un cavaliere che porta il nome del grande paladino gli offre quel monte sul quale quasi dieci anni dopo egli forse proverà la pena più grande e il più grande diletto ovvero le stimmate. Quando Francesco ormai alla fine della sua vita, gravemente malato ci metterà piede chiamerà La Verna il Monte degli Angeli perché vi sentirà ben vivo e presente il fremito d’ali dei Messaggeri di Dio e da quel momento questa montagna diventa un simbolo, come lo sono tante altre montagne sacre sparse per il mondo.

  Dopo 3 km giungiamo in località Grigliano, quota 635m., piccolo borgo con una scuola di equitazione. Ogni tanto intravediamo dall’ alto il paese di Pieve Santo Stefano che ci siamo lasciati alle spalle.  La strada si fa sempre più ripida e faticosa. “Meglio la salita che la discesa” dice Luca con voce affannata per consolarmi. In effetti, per esperienza personale, chi ama veramente camminare in montagna preferisce la dura salita all’insidiosa discesa, forse perché solo dopo la fatica dell’estenuante ascesa si prova quella sublime sensazione che ebbe a descrivere così bene Dante Alighieri nella Divina Commedia:

“ A seder ci ponemmo ivi ambedui

volti a levante ond’eravam saliti,

che suole a riguardar giovare altrui”.

Salendo di quota troviamo i primi boschi di faggio. Continuiamo a inerpicarci fino a toccare i 1135m. nei pressi del Monte della Modina dove ci fermiamo a mangiare sotto una leggera pioggerella.  In pratica abbiamo percorso due terzi della tappa e La Verna adesso appare molto vicina.  Luca si ferma per fare una breve registrazione del vento che fa stormire le foglie.  Io ne approfitto per tirare un po’ il fiato. Chiudo gli occhi e  immagino di vedere già davanti a me la chiesina di Santa Maria degli Angeli che fu l’unico edificio in pietra che Francesco ammise sul Monte della Verna. Di piccole dimensioni perché doveva essere simile a quello della Porziuncola di Assisi . A costruire anche la modesta cappella ci pensò sempre il conte Orlando. Lo attesta, fra l’altro, lo stemma nobiliare della famiglia Catani,che campeggia sulla facciata,a lato della porta di ingresso. Chi poi giunge di fronte all’altare,nota subito una lapide,collocata nel pavimento, che ricorda che proprio lì è sepolto il grande benefattore. Nel 1250 la chiesina fu allungata per fare posto ai fedeli che accorrevano sempre più numerosi. Dieci  anni dopo su incarico di Papa Alessandro IV, i vescovi di Arezzo, Firenze, Fiesole,Assisi, Città di Castello e Urbino, salirono alla Verna per consacrare la chiesa. C’era anche Bonaventura da Bagnoregio. Si racconta che gli otto prelati vollero compiere in devota processione, anche se a cavallo, il giro attorno alla montagna, quasi a riconoscere la bellezza e la santità del luogo. Erano accompagnati dai francescani e dal popolo festante.Questo giro, che sarebbe avvenuto nel 1260,corrisponde a quello che oggi viene chiamato anello basso o anello della Beccia caratterizzato da spaccature,che incidono profondamente le grandi pietre. Come abbiamo già detto, anche queste, come quelle di Cerbaiolo ricordavano a Francesco le piaghe sul corpo di Cristo, e lo sconquasso della natura seguito alla sua morte. Sempre I Fioretti narrano che, raccolto in meditazione sotto il Sasso spicco,

“meravigliandosi delle grandissime fessure e aperture di sassi grandissimi, si puose in orazione,e allora gli fu rivelato da Dio che quelle fessure così meravigliose erano state fatte miracolosamente, nell’ora della Passione di Cristo, quando,secondo che dice il Vangelista”.

In realtà questi pietroni di calcare che un tempo si trovavano sul fondo del mare sono crollati molto tempo prima della venuta di Cristo perché la base su cui poggiano i macigni è formata da argille la cui consistenza varia a seconda del maggiore o minore contenuto d’acqua.  Ma la leggenda è comunque molto suggestiva.Lo scrittore americano Julien Green che ha scritto una bella biografia su San Francesco e che ha amato molto La Verna dove ha vissuto per un certo periodo di tempo ha scritto: “Vicino alla vetta della Verna,rocce enormi parevano precipitate in una spaccatura in fondo alla quale s’intravedeva un abisso che toglieva il fiato. Eppure, proprio in un recesso di quell’apertura si nascondeva Francesco. Quelle rocce frantumate in cataclismi immemorabili raffiguravano ai suoi occhi le ferite di Cristo. Gli era necessaria la vertigine per perdersi in Dio? Quest’uomo già fra due mondi portava in sé i suoi abissi”.  Molto suggestiva è anche la descrizione che ne fa il poeta Dino Campana nel suo diario di viaggio alla Verna: le enormi rocce gettate in cataste da una legge violenta verso il cielo, pacificate dalla natura prima che le aveva coperte di verdi selve, purificate poi da uno spirito d’amore infinito”. 

Aggirato il Monte della Modina dopo una lunga discesa , giungiamo al Passo delle Pratelle 1079m.  da dove si diramano diversi sentieri.  Si continua dritti dall’altra parte del Passo in salita nel bosco e più in alto si costeggia una bella radura erbosa che offre una bellissima veduta della Val Tiberina.  Finalmente arriviamo a toccare il punto più alto della tappa ovvero il Monte Calvano 1253m.  un grande pascolo al centro del quale si trova un rigoglioso albero di biancospino. Sopra di noi stride e volteggia una maestosa poiana. Il giorno prima, quando eravamo al rifugio della Spinella, ne abbiamo viste quattro contemporaneamente. Volavano in cerchio sopra le nostre teste e Luca è rimasto a lungo a registrarne i loro acuti richiami.  Questo grande rapace mi fa tornare alla mente la leggenda del falco rappresentato in uno dei tanti affreschi che si possono ammirare percorrendo il corridoio delle Stimmate della Verna.   Sappiamo che Francesco salì sulla Montagna degli Angeli il 15 agosto del 1224 giorno dell’ Assunzione, accompagnato dal solito frate Leone. Mentre arrivava lo accolse uno stormo di uccelli che lo avvolse cantando; questo accadde vicino ad una grande quercia, probabilmente un cerro, al posto del quale oggi sorge la cappella degli uccelli. Si racconta anche di  un falco(che nel dipinto è raffigurato ai piedi del santo).  Ogni notte questo animale che proprio lì aveva il suo nido e che si era legato a San Francesco con un patto di intensa amicizia lo svegliava quando si avvicinava il momento in cui lui era solito pregare. A volte,però, le malattie non concedevano tregua al poverello di Assisi: in quei casi il falco rinviava di qualche tempo le sue strida,in modo da consentirgli di riposare un po’ di più. Sempre alla Verna Francesco fece un rito che aveva fatto in altre occasioni chiamato “sortes Apostolorum” . Cioè interpellò Dio aprendo per tre volte il Vangelo. Questa volta voleva sapere come portare a compimento la sua vita nel migliore dei modi visto che era pieno di dubbi e si sentiva molto sconfortato. Alle tre aperture rituali del libro sacro,per tre volte gli occhi ammalati di Francesco si posarono sul racconto della Passione.Comprese allora che la sua volontà di imitare in tutto e per tutto il Cristo sarebbe stata esaudita. Quello sarebbe stato il suo Gethsemani e la roccia della Verna il suo Calvario. Sembra che proprio in questo luogo, Francesco ,come Gesù, abbia provato le tentazioni,l’apparente lontananza da Dio, la sensazione di essere stato abbandonato da lui,la percezione del proprio fallimento,il richiamo del nulla. Con ancora questi pensieri in testa ecco che io e Luca scorgiamo davanti a noi “il calcio del diavolo” ovvero la cresta rocciosa e boscosa del Monte Penna che incombe con i suoi pinnacoli alti più di 150 metri.  La località è chiamata Croce della Calla (1136m) ed infatti è segnata da una grande croce di legno. Siamo a circa un chilometro dal complesso monastico. Quando finalmente giungiamo nell’ampio piazzale del santuario detto il “ Quadrante” lo troviamo molto affollato come al solito. Pur essendo molto stanchi, Luca decide di completare il suo reportage fotografico percorrendo il sentiero della Beccia che conduce alle ciclopiche pareti verticali del monte. In alto vi si affaccia il fianco più sacro del convento francescano. Questo spettacolare insieme di faraglioni che incombono su un grande prato è chiamato la Scogliera delle Stimmate. A tal proposito, Tommaso da Celano ci ha descritto l’episodio delle Stimmate quattro anni dopo la data in cui  sembra essersi verificato proprio alla Verna il 14 settembre del 1224.Non sappiamo quale ora del giorno o della notte fosse,non sappiamo nemmeno se Francesco dormisse o vegliasse in preghiera, ma così viene presentato l’avvenimento:

“Gli apparve un Uomo in forma di serafino,con sei ali, librato sopra di lui,con le ali distese e i piedi uniti, confitto ad una croce. Due ali si prolungavano sopra il capo,due si dispiegavano per volare e due coprivano tutto il corpo. A quell’apparizione il beato servo dell’ Altissimo si sentì ripieno di un’ammirazione infinita, ma non riusciva a capirne il significato(…) Francesco cercava con ardore di scoprire il senso della visione,e per questo il suo spirito era turbato. Mentre era in questo stato di preoccupazione e di totale incertezza,ecco:nelle sue mani e nei piedi cominciarono a comparire gli stessi segni dei chiodi che aveva appena visto in quel misterioso Uomo crocifisso.Le sue mani e i suoi piedi apparvero trafitti nel centro da chiodi, le cui teste erano visibili nel palmo delle mani e sul dorso dei piedi,mentre le punte sporgevano dalla parte opposta. Quei segni poi erano rotondi dalla parte interna delle mani, e allungati nell’esterna, e formavano quasi un’escrescenza carnosa, come fosse punta di chiodi ripiegata e ribattuta. Anche il lato destro del fianco era trafitto come da un colpo di lancia,con ampia cicatrice,e spesso sanguinava…”.

Noi sappiamo con certezza che quando Francesco se ne tornò dalla Verna  aveva delle piaghe o delle ferite che sanguinavano. Per lo storico Franco Cardini quello delle stimmate è il fatto più misterioso dell’intera vita di Francesco e proprio intorno a questo episodio si è sviluppata in tempi recenti tra gli studiosi un’accesa discussione.Chiara Frugoni che pure ha scritto una bellissima biografia su Francesco, rispetto a Franco Cardini appare molto più scettica. Lei dice che prima di S.Francesco non esiste nessun santo stimmatizzato. Molte persone che si erano auto inflitte delle ferite per imitare quelle subite da Cristo sulla croce erano state severamente punite anche con la morte perché nessuno doveva avere l’ardire di paragonarsi al figlio di Dio.Ma quando si diffuse la notizia delle Stimmate insorsero anche gli altri ordini religiosi e perfino i preti che all’inizio non le accettarono. L’opposizione alle stimmate veniva da più parti: i sacerdoti appunto avevano paura di vedere diminuire i fedeli che alla lunga avrebbero preferito confessarsi, andare a messa ed essere sepolti nelle chiese francescane. I domenicani in particolare erano molto invidiosi tanto che ingaggeranno con i francescani una dura lotta nella quale sostenevano che le vere stimmate erano quelle “invisibilidella loro santa: Caterina da Siena. Ma contrari erano perfino alcuni francescani ancora titubanti. Anche i pittori non le disegnavano sui loro dipinti e se qualcuno osava farlo venivano subito cancellate da ignoti(solo più tardi Giotto le dipinse nel famoso affresco che si trova nella cappella Bardi nella chiesa di Santa Croce a Firenze).  La diffidenza dunque circa le cinque piaghe fu lunga e tenace: più che un miracolo,molti ritenevano che fosse una bestemmia contro Cristo. In effetti, va detto, che non ci sono stati testimoni. Nessuno ha potuto dire di aver assistito a questo episodio. Lo stesso Francesco non disse mai di avere le stimmate né pronunciò mai questa parola. Anzi scoraggiò coloro che aveva intorno a fare illazioni in questo senso. “Fatti gli affari tuoi!” disse un giorno ad uno dei compagni che lo importunava con domande indiscrete. Chiara Frugoni ipotizza che queste presunte stimmate siano in realtà il prodotto di un’audace invenzione. Sappiamo che fenomeni del genere possono prodursi a livello psicosomatico in particolari individui e in particolari condizioni di stress mentale. Durante quei mesi di intensa contemplazione Francesco aveva talmente e così intensamente voluto assomigliare a Cristo che si erano prodotte sul suo corpo delle ferite simili? Oppure a forza di curare i lebbrosi Francesco era stato contagiato dalla loro malattia che dopo un lungo periodo di incubazione si era manifestata alla Verna?Le capecchie dei chiodi di carne descritti da Tommaso potevano essere in realtà escrescenze lebbrose? Non lo sapremo mai e resta in definitiva un argomento di fede come tanti altri. Qualcuno però ha fatto maliziosamente notare che le stimmate potevano far comodo ai frati Minori che avevano fretta di far riconoscere alla Chiesa la santità del loro fondatore. E poi, essendo Francesco un santo e non un “uomo” ne derivava che tutti gli altri frati potevano sentirsi come esonerati dal seguire il suo duro esempio fatto di sacrifici e di privazioni. Al di là di tutte queste considerazioni prosaiche, vale la pena però citare i versi poetici di Dante Alighieri nell’ XI° canto del Paradiso: “nel crudo sasso intra Tevere e Arno da Cristo prese l’ultimo sigillo”.  Francesco morirà ad Assisi il 3 ottobre 1226. Ma prima di morire vuole comporre una Lode del Signore (ne aveva già scritte altre) dedicata alle sue creature.Postosi a sedere si concentrò a riflettere e poi disse: “Altissimo,onnipotente,bon Signore…”  è l’inizio dello splendido Cantico delle creature, composizione giustamente famosa,non solo perché attraverso di essa  viene fuori tutto l’animo poetico di Francesco ma anche perché è una delle prime poesie scritte non più in latino ma nella nostra lingua. Sembra che Francesco compose oltre alle parole anche una musica d’accompagnamento. Secondo il suo intento i frati avrebbero dovuto andarsene in giro a cantarla come “giullari di Dio” dal momento che lui non poteva più farlo. Francesco riteneva  che la Natura fosse bella e benefica,un dono generosamente concesso da Dio all’uomo. L’inno loda i quattro elementi: Fuoco, Aria, Acqua, Terra, i componenti essenziali di ogni forma di vita,compresa quella umana,secondo le credenze medievali. Risulta particolarmente struggente perché ad esempio loda il fuoco e la luce del sole proprio nel momento in cui è quasi cieco, loda la morte (gli ultimi versi li aggiungerà in un secondo momento)  nell’ora in cui si sente prossimo alla fine. E’ un canto quindi pieno di vita ma scritto nel momento più doloroso e anche per questo acquista ancora più valore. Prima di andarcene dalla Verna  non possiamo fare a meno di rendere omaggio al Sasso Spicco (quello più famoso rispetto a quello di Montecasale). Si tratta di un enorme macigno staccato dalla montagna e sospeso nel vuoto. L’ho visto tantissime volte eppure mi sorprende sempre il gioco d’incastro dei massi, sui quali si elevano faggi secolari, che con le radici abbracciano tutto il pietrame, mentre vanno a cercare pazientemente un po’ di humus nel suolo scaglioso. Ci sono in Italia numerosi e splendidi edifici religiosi ricchi di arte e di storia che merita sicuramente visitare. Ma chi vuole conoscere veramente lo spirito del Santo di Assisi deve venire qui, a toccare con mano l’essenzialità del crudo sasso.

DALL’ EREMO DI CERBAIOLO AL SANTUARIO DELLA VERNA

Lunghezza: 21,00 km

Salita: 900m

Discesa:600m

Tempo di percorrenza: 6h 30min (escluse le soste)

Tipologia: strada bianca (25%), sentiero (50%), asfalto (25%)

Difficoltà: Difficile

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LA VIA DI FRANCESCO IN TOSCANA DA ANGHIARI ALLA VERNA – 3° Giorno da Montagna all’Eremo di Cerbaiolo https://www.laviadifrancescointoscana.it/la-via-di-francesco-in-toscana-da-anghiari-alla-verna-3-giorno-da-montagna-alleremo-di-cerbaiolo/ Thu, 19 Jan 2023 08:48:31 +0000 https://www.laviadifrancescointoscana.it/?p=3739 Articolo di Stefano Masetti Lasciamo Ofelia e la sua simpatica famiglia con un po’ di rammarico. La terza giornata di cammino si preannuncia come la più panoramica in assoluto. Si comincia a salire fino a una località chiamata Il Palazzo (745m) dove sorge un’altra struttura d’accoglienza per pellegrini molto bella […]

L'articolo LA VIA DI FRANCESCO IN TOSCANA DA ANGHIARI ALLA VERNA – 3° Giorno da Montagna all’Eremo di Cerbaiolo proviene da La via di Francesco in Toscana.

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Articolo di Stefano Masetti

Lasciamo Ofelia e la sua simpatica famiglia con un po’ di rammarico. La terza giornata di cammino si preannuncia come la più panoramica in assoluto. Si comincia a salire fino a una località chiamata Il Palazzo (745m) dove sorge un’altra struttura d’accoglienza per pellegrini molto bella e immersa nel verde. Più avanti scopriamo un maestoso cerro che la gente del posto ha ribattezzato “Quercia di Val Canale”. A quanto si può leggere in un pannello che è stato piantato a  poca distanza dall’albero, si tratta di una pianta secolare di 200/250 anni, alta circa 25 metri e con una circonferenza del tronco di 380 cm. I gestori dei vari B&B della frazione di Montagna che hanno realizzato il cartello, invitano giustamente tutti gli escursionisti a rispettare questo stupendo esemplare insieme a tutto ciò che lo circonda.  La via diviene sempre più sconnessa, il terreno è argilloso e per qualche tratto si cammina su lastre di arenaria molto friabili.  Si sale ancora fino ad arrivare a un bel crinale soleggiato dove pascolano diversi asini allevati allo stato brado. Sono molto mansueti e qualcuno si avvicina nella speranza di ricevere da noi qualcosa da mangiare. In lontananza, sotto a un grande acero campestre pascola l’intero branco. La cosa incredibile è che gli asini convivono  pacificamente con un ancor più numeroso branco di daini, intenti anche loro a pascolare a poche decine di metri di distanza come se i due gruppi di animali si fossero messi d’accordo per condividere lo stesso appezzamento di terreno, diviso però da una invisibile linea di confine che soltanto loro riescono a vedere. Il luogo dove ci troviamo è conosciuto come La Spinella e prende il nome da un enorme casolare che io e Luca raggiungiamo in una manciata di minuti. L’edificio si trova in una posizione davvero incantevole. Veniamo a sapere da una persona che vi sta lavorando che la struttura ha ospitato per mesi una colonia estiva di 40 ragazzi. Il rifugio è gestito dalla fattoria di Germagnano un’azienda biologica composta da diversi giovani agricoltori che gestisce anche il rifugio di Pian della Capanna che troveremo più avanti. Questi ragazzi che con il loro lavoro e la loro passione hanno riqualificato questa parte di Appennino sono fra i pochi che allevano gli asini per il loro latte (che è un valido sostituto del latte materno e con il quale producono anche saponette e cosmetici) e un formaggio particolare altamente digeribile fatto sia con latte di capra che di asina.   Proseguendo lungo una bella pista forestale dove spiccano imponenti faggi entriamo nella Riserva Naturale dell’ Alpe della Luna e del Monte dei Frati. Il paesaggio è molto panoramico e vario perché  camminando si alternano ampie praterie, freschi boschi e costoni brecciosi, sempre però con vista sul lago artificiale di Montedoglio che rimane alla nostra sinistra.   Più avanti ci ritroviamo al Rifugio Forestale Pian della Capanna (1005m.) tutto ristrutturato e gestito, come detto, sempre dai ragazzi di Germagnano.  Stranamente il rifugio non è menzionato nella guida ufficiale del Cammino di Francesco pubblicata da Terre di Mezzo (anche nell’ultima versione aggiornata) ed è un vero peccato anche perché l’edificio  è piuttosto grande ed è collocato in un punto particolarmente strategico del percorso, dove è possibile pernottare e rifocillarsi.

Si rientra nel bosco e più avanti si esce dalla Riserva Naturale Alpe della Luna. Poco prima del bivio per il Monte dei Frati (che se volessimo potremmo raggiungere in una mezz’ora circa), il panorama si apre sull’ampia vallata verso Sansepolcro. Ad un tratto il tracciato si impenna in modo deciso sulla direttrice del sentiero 00 che porta al Passo di via Maggio per arrivare al quale occorre prima salire sulla sommità del Monte Verde . Il ripido crinale boscoso è tutto costeggiato da una recinzione di filo spinato che rimane sulla destra e la salita è molto faticosa. Dobbiamo superare anche diverse recinzioni dotate delle apposite scalette di legno data la presenza di numerosi pascoli nelle vicinanze. Durante il percorso si notano dei cartelli che invitano a visitare il Parco Storico della Linea Gotica di Badia Tedalda. Il sito conserva i resti di alcune postazioni di tiro e trincee dell’esercito tedesco.  Scopriremo strada facendo che ce ne sono molte anche scendendo verso l’Eremo di Cerbaiolo. Finalmente, dopo un lungo e tortuoso percorso nel bosco ci ritroviamo al bar L’Alpe che si trova sul Passo di Via Maggio. Da qui ci sono due possibilità per arrivare all’Eremo di Cerbaiolo che si trova sul versante che guarda Pieve Santo Stefano. Una più lineare e più breve su comoda strada forestale e una un po’ più lunga e tortuosa che corrisponde al tracciato della VFT che passa sotto Montalto. Noi consigliamo caldamente di non abbreviare il percorso e di optare per la seconda. Pertanto dopo aver camminato per un brevissimo tratto sulla strada asfaltata giriamo a sinistra sulla strada sterrata che prende il nome proprio di via Cerbaiolo e dopo 400 metri l’abbandoniamo per seguirne una a destra dove c’è un cancello.  La via inizia a scendere e per un lungo tratto si alternano boschi a estese praterie. Ad un tratto ci imbattiamo in una mandria di mucche dal manto color ruggine. Luca prende la sua “scatola delle meraviglie” e scatta un’incredibile foto che sembra un quadro agreste di Giovanni Segantini. In modo particolare ricorda il quadro “Alla stanga” dove si vede in primo piano una lunga fila di vacche. Fra un pascolo e l’altro, la segnaletica non è molto chiara. Ad un certo punto ci accorgiamo che stiamo percorrendo un tracciato che non risulta nemmeno sulle carte. Tuttavia quando non ci sono i segni di conforto bianco-rossi del CAI ci vengono in aiuto i segni contraddistinti dal Tau giallo che qualcuno ha tracciato sui tronchi degli alberi o quelli fatti direttamente sulle pietre di colore giallo-blu. E’ proprio seguendo queste indicazioni e non una via ampia a sinistra che io e Luca ci ritroviamo a sorpresa sopra un grande masso che sovrasta l’eremo di Cerbaiolo e sul quale è stata piantata una croce di legno. Da lì si può godere di una vista mozzafiato sulla diga di Montedoglio e su tutta la Val Tiberina.  Luca non perde tempo, piazza sul cavalletto la sua macchina fotografica stenopeica e mi chiede di fare da modello. Io ubbidisco e mi metto sotto la croce con lo sguardo rivolto verso l’orizzonte. Ne uscirà fuori un’immagine un po’ astratta dove si vedono i tronchi scheletrici di tre querce in primo piano che risultano essere perfettamente simmetriche con la croce sullo sfondo e con la mia piccola figura scura in basso. Un vero capolavoro impressionista.   Nel frattempo, mentre me ne sto in posa, sperimento quella che il filosofo francese Frederic Gross ha chiamato  l’ebrezza della vetta ovvero quell’ineffabile sensazione che provano tutti coloro che dopo  aver raggiunto con grande sforzo una cima rocciosa, si siedono  e si godono finalmente il paesaggio. In quel momento, tutto quello che riescono ad abbracciare con lo sguardo è come se gli appartenesse.  Ne sono diventati padroni grazie al sudore e alla fatica dell’incedere. Ma non si tratta di un vano possesso, di una proprietà. No,  tutti coloro che provano quella sensazione (e non occorre essere degli alpinisti) sentono di far parte integrante di quello spettacolo del mondo che si apre davanti a loro ed è proprio questo che li fa sentire più vicini a Dio.  Con questa gioia nel cuore, stanchi ma soddisfatti,  ci presentiamo all’ingresso dell’eremo di Cerbaiolo dove padre Claudio Ciccillo ci sta aspettando. Un antico detto recita: “Chi ha visto La Verna e non Cerbaiolo, ha visto la mamma e non il figliolo”. Padre Claudio invece rivendica con orgoglio la maternità di Cerbaiolo rispetto al santuario della Verna . In effetti, ci troviamo nell’insediamento monastico più antico di tutta l’Alta Valle del Tevere. Sembra che risalga addirittura all’ VIII° sec. d.C. Qui le imponenti rocce strapiombanti percorse da fenditure che a un primo sguardo superficiale sembrano voler schiacciare l’edificio religioso, se da una parte possono ricordare  quelle  della Verna hanno tuttavia una loro propria identità. Osservandole meglio, non hanno niente di minaccioso ma esprimono la volontà di proteggere l’eremo, le persone che vi abitano e tutto quello che c’è intorno. Sì, ha ragione padre Claudio, hanno qualcosa di materno e si capisce perché siano state tanto care a San Francesco. Nel 1216, quando l’eremo era già caduto in rovina, il santo accolse con favore la preghiera che gli rivolse la popolazione di Pieve Santo Stefano  che lo esortò a farlo risorgere a nuova vita. I francescani non persero tempo e vi si stabilirono due anni più tardi consolidandolo ed ampliandolo. Anche Sant’ Antonio da Padova vi soggiornò prima della sua morte. Nell’agosto 1867 il poeta Giosuè Carducci passò un lungo periodo di villeggiatura a Pieve Santo Stefano. Fra una cavalcata e l’altra dalla Verna al Fumaiolo scrisse un’ode intitolata poi “Agli amici della Val Tiberina” in cui paragonava Cerbaiolo a un gigante che si affretta alla caccia e interroga il mattino. Forse proprio per paura che questo gigante potesse rivoltarsi contro di loro, durante la seconda guerra mondiale, i tedeschi in ritirata minarono e fecero saltare la chiesa, parte  del convento e delle case coloniche adiacenti. Ma l’eremo sopravvisse grazie alla figura di suor Chiara che ne scoprì le rovine negli anni sessanta e grazie anche all’aiuto degli abitanti di Pieve Santo Stefano riuscì a ricostruirlo nel giro di una decina d’anni. La sera, a cena, ce ne parla Carla della Fraternità di San Damiano che dal 25 giugno 2019 abita a Cerbaiolo con Padre Claudio. Carla è una bella signora di 85 anni che dimostra molti meno anni di quelli che dichiara. Ha uno sguardo luminoso e la risata di una ragazzina. La sua esuberanza contrasta con la timidezza di padre Claudio che appare molto più riservato. Entrambi hanno conosciuto suor Chiara che giunse qui con altre due sorelle provenienti dalla Sardegna le quali si portarono dietro un intero gregge di capre. Con gli anni suor Chiara rimase da sola con i suoi animali (tanto che oggi viene chiamata “l’eremita pastora”) e una numerosa colonia di gatti. Carla ci racconta che non amava ricevere ospiti e che in diverse occasioni, durante l’inverno,  rimase prigioniera della neve. Visse a Cerbaiolo con spirito francescano per oltre 40 anni ma dopo la sua morte, avvenuta nel 2010 l’edificio cadde nuovamente in uno stato  d’abbandono. Per fortuna, grazie a padre Claudio, a Carla e all’aiuto di tanti volontari pievani e romagnoli oggi l’ Eremo di Cerbaiolo sembra finalmente tornato agli antichi splendori con il piccolo chiostro elegante e curato. La chiesa ampia e luminosa e il convento composto da 17 celle, la sala capitolare e il refettorio. Sul retro vi si trova un ampio cortile abbracciato a un enorme roccione che a guardarlo in foto sembra raffigurare un volto umano. Ancora oggi, la giornata di chi  abita  a Cerbaiolo è scandita dal suono energico della campana, suonata dallo stesso padre Claudio che a orari precisi invita i pellegrini alla preghiera o a presentarsi in refettorio per i pasti.

DA MONTAGNA ALL’ EREMO DI CERBAIOLO

Lunghezza: 17,00 km

Salita: 600m

Discesa:450m

Tempo di percorrenza: 5h 30min (escluse le soste)

Tipologia: strada bianca (25%), sentiero (75%).

Difficoltà: Medio-difficile

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LA VIA DI FRANCESCO IN TOSCANA DA ANGHIARI ALLA VERNA – 2° Giorno da Sansepolcro a Montagna https://www.laviadifrancescointoscana.it/la-via-di-francesco-in-toscana-da-anghiari-alla-verna-2-giorno-da-sansepolcro-a-montagna/ Thu, 19 Jan 2023 08:46:14 +0000 https://www.laviadifrancescointoscana.it/?p=3735 Articolo di Stefano Masetti Ci allontaniamo di mattina presto da Sansepolcro. Il tracciato della seconda tappa parte dalla zona dell’ospedale. A dire il vero qui ci sono due alternative che vengono offerte ai pellegrini. La prima consiste nell’andare a imboccare il sentiero CAI n.4 che passa per la chiesetta di […]

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Articolo di Stefano Masetti

Ci allontaniamo di mattina presto da Sansepolcro. Il tracciato della seconda tappa parte dalla zona dell’ospedale. A dire il vero qui ci sono due alternative che vengono offerte ai pellegrini. La prima consiste nell’andare a imboccare il sentiero CAI n.4 che passa per la chiesetta di San Casciano e per un bosco di maestose querce attraversando colline terrazzate a olivo e vite.  La seconda, molto più semplice, ma più tediosa, è quella di seguire la strada statale che conduce direttamente alla frazione di Montagna. Io e Luca, dopo esserci consultati, decidiamo per la seconda soluzione, di certo non perché amiamo l’asfalto, ma perché vogliamo restare fedeli al tracciato ufficiale della VFT che ci è stato fornito prima della partenza. Dopo circa tre quarti d’ora di cammino giungiamo al bivio che porta direttamente al Monastero di Montecasale (attenti a non svoltare prima prendendo l’ asfaltata riservata alle automobili). Una volta superato il cimitero di San Martino, la via si mantiene quasi costantemente nel bosco e guadagna quota faticosamente. Siamo in quello che viene comunemente chiamato il bosco dello Speco tanto caro a San Francesco. Un luogo selvaggio, caratterizzato dalla presenza di caverne nascoste dai lecci e dalle giovani querce. Le rocce ricoperte di muschio ricordano quelle che circondano il santuario della Verna. Il sentiero sale ripido, ma ad ogni svolta merita una sosta, durante la quale Luca cerca di cogliere con la propria macchina fotografica tutta la magia e il mistero che ancora aleggiano fra queste pareti scoscese. Con un ultimo impegnativo tratto si arriva al “Sasso Spicco”.  Rispetto a quello più famoso della Verna è molto diverso ma altrettanto suggestivo. Qui il sasso  ha una forma del tutto particolare: è un grande massiccio sporgente che ricorda un lungo e grosso serpente, con la testa che si incunea verso il basso affacciandosi sul vuoto di una scarpata alta una sessantina di metri. Quando le acque sono abbondanti vi scorre  sopra il torrente Spisciolo che vi forma una singolare cascata. La tradizione vuole che qui Francesco gareggiasse con un usignolo nel cantare le lodi del signore. E’ certo che molti frati scelsero questa spelonca come loro ordinaria abitazione. Ancora oggi è un luogo di aspra solitudine e di profondo silenzio, rotto soltanto dal canto degli uccelli che Luca non perde l’occasione di registrare mentre due giovani cappuccini sono intenti a meditare nel punto più sporgente del masso con le gambe penzoloni nel vuoto. Anche noi rimaniamo a lungo ad ammirare quell’orrida bellezza dopo di che raggiungiamo l’Eremo di Montecasale dal cui balcone si può godere di un bellissimo panorama su Sansepolcro e sulla Valtiberina. Si dice che l’eremo sia sorto sulle rovine di un vecchio castello. Nel 1213 il luogo venne donato a San Francesco dai monaci camaldolesi e da allora è rimasto indissolubilmente legato alla storia francescana anche se nel corso del tempo ha conosciuto molti anni di oblio. Fra le molte leggende legate a Montecasale, quella che mi piace raccontare durante le mie escursioni dedicate alla figura del santo di Assisi, c’è quella dei tre ladroni. Si sa che nel medioevo le foreste erano considerate luoghi pericolosi dove spesso vi trovavano rifugio piccole bande di briganti . Sembra che al tempo in cui nell’eremo vi dimoravano già i frati, venuto a sapere della presenza di questi tre ladri San Francesco abbia consigliato ai propri confratelli di non scacciarli. Anzi, ordinò che ogni giorno venissero sfamati con del buon pane e del buon vino. Lasciati opportunamente sopra una grossa pietra. Con il passare del tempo, al pane e al vino vennero aggiunte uova e formaggio. Alla fine i briganti non solo entrarono in confidenza con i loro benefattori prestando loro aiuto nelle incombenze quotidiane, ma fecero penitenza ed entrarono a far parte dell’ordine tanto che morirono come frati a Montecasale e  di almeno due di loro vi si conservano i crani a imperituro ricordo di quello che potrebbe essere un fatto realmente accaduto. Del resto, la figura di San Francesco è legata ai briganti in tante altre  leggende. La stessa montagna della Verna sembra che si chiami così in quanto “Laverna” era la Dea dei ladri e degli impostori venerata dagli antichi romani. Forse, come riportato dalla tradizione, negli anfratti della Verna si nascondevano ladri e malfattori che prosperavano grazie al traffico viario. E lungo il ripido sentiero che conduce al Monte Penna, si trova il cosiddetto Masso di fra Lupo, un gigantesco dente di roccia che si è quasi staccato dalla montagna. Il nome si riferisce a un feroce brigante chiamato Lupo che angariava le persone del posto e i viandanti. I più ricchi venivano condotti a forza sulla cima di quel masso che diventava irraggiungibile una volta  tolte le passerelle con cui i banditi lo collegavano momentaneamente alla montagna. E lì vi rimanevano fino a quando i parenti non pagavano forti riscatti. Tutto questo andò avanti per un bel po’ fino a quando non arrivò Francesco che riuscì ad ammansire il bandito che si pentì e si fece frate.  Questa vicenda farebbe pensare che anche dietro alle molte storie di lupi ai quali viene associata la vita del santo (famosissima la leggenda del lupo di Gubbio) non si celino uomini sventurati o banditi che nel Medioevo si nascondevano nei boschi e nelle montagne vivendo ai margini della civiltà. Del resto Francesco insegnava a lodare Iddio proprio a quanti, forse, ritenevano di avere ben pochi motivi per farlo,viste le condizioni in cui vivevano. Francesco li invitava a considerare la loro condizione di reietti come una condizione privilegiata.  Quindi, anche il lupo di Gubbio potrebbe essere la metafora di un brigante Lupo, reso feroce dalla miseria e dal bisogno ma che riacquista la propria umanità nel momento in cui si sente accettato.

Oggi giorno, il luogo più raccolto e ricco di fascino di tutto l’eremo è la piccola chiesa dove si trova una statua lignea che rappresenta la Madonna col Bambino. Secondo la tradizione sarebbe stata portata qui dallo stesso San Francesco che l’avrebbe trovata fra le rovine del vecchio castello. Una perizia fatta dalle Belle Arti di Firenze (datata 1915) confermerebbe che si tratta di un’opera dei primi anni del secolo XII°. 

Prima di lasciare il monastero io e Luca facciamo scorta d’acqua alla Fonte di San Francesco che si trova presso il cancello dei carri. Secondo alcuni fu il santo che la fece scaturire dalla roccia  e la tradizione vuole che abbia proprietà curative. La strada per il secondo punto tappa passa per un’assolata strada bianca che entra ed esce dal bosco in un continuo saliscendi. Dopo circa un’ora di cammino ci accoglie una panoramica vallata che conduce alle case di Pischiano e da lì alla piccola e appartata località di Montagna dove ci attende la simpatica signora Ofelia del B&B Alla Battuta, il primo e storico alloggio per pellegrini della zona.

DA  SANSEPOLCRO A MONTAGNA

Lunghezza: 11,5 km

Salita: 500m

Discesa:150m

Tempo di percorrenza: 3h 45min (escluse le soste)

Tipologia: strada bianca (25%), strada asfaltata (25%), sentiero (50%).

Difficoltà: Media

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LA VIA DI FRANCESCO IN TOSCANA DA ANGHIARI ALLA VERNA – 1° Giorno da Anghiari a Sansepolcro https://www.laviadifrancescointoscana.it/la-via-di-francesco-in-toscana-da-anghiari-alla-verna-1-giorno-da-anghiari-a-sansepolcro/ Thu, 19 Jan 2023 08:43:07 +0000 https://www.laviadifrancescointoscana.it/?p=3730 Articolo di Stefano Masetti “Perché la fate all’incontrario?” è la domanda ricorrente che ci hanno posto i numerosi pellegrini che abbiamo incontrato lungo il cammino di San Francesco in Toscana da Anghiari  al Santuario della Verna. In effetti il tracciato partirebbe da Firenze o quanto meno dalla Verna per i […]

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Articolo di Stefano Masetti

“Perché la fate all’incontrario?” è la domanda ricorrente che ci hanno posto i numerosi pellegrini che abbiamo incontrato lungo il cammino di San Francesco in Toscana da Anghiari  al Santuario della Verna. In effetti il tracciato partirebbe da Firenze o quanto meno dalla Verna per i tanti che intraprendono il percorso “classico” La Verna- Assisi. Ma di fatto chi può dire dove inizia o finisce un cammino spirituale che si disperde in mille rivoli e varianti lungo tutta l’Italia centrale. Fra qualche anno potremmo inventarci nuove varianti, non solo perché San Francesco ha viaggiato tanto, camminando per tutto il corso della sua breve vita, ma anche perché al di là della meta la cosa principale “ è camminare e sentirsi sempre pellegrini/stranieri nel mondo” come sostengono i padri della Chiesa. Con questo spirito io e il mio amico fotografo Luca Baldassari abbiamo accettato di buon grado la proposta che ci ha fatto la Fondazione Arezzo Intour di riscoprirci per quattro giorni pellegrini e stranieri nella nostra terra, camminando zaino in spalla. Ci siamo incontrati lunedì 29 agosto davanti alla chiesa della Propositura di Anghiari che si trova appena fuori le mura del paese. All’interno dell’edificio religioso sono conservati importanti dipinti del cinquecento fiorentino: due tavole di Giovanni Antonio Sogliani raffiguranti “L’ultima cena” (1531) e la “Lavanda dei Piedi” e “La deposizione della Croce” di Domenico Ubaldini detto il Puligo. Dietro l’altare maggiore, la Madonna della Misericordia, grande terracotta invetriata di Andrea della Robbia. Scendendo verso il cimitero ci lasciamo alle spalle la cittadella fortificata con le sue mura. Vista dal basso sembra un possente animale che apposti con ira la preda e mentre io e Luca ci aggiriamo nella piana sottostante, fra campi di girasole e di tabacco, non possiamo fare a meno di pensare alla famosa battaglia combattuta il 29 giugno 1440 fra i fiorentini e i milanesi guidati dal celebre condottiero perugino Niccolò Piccinino. Ad Anghiari esiste un piccolo ma interessante museo dedicato proprio a questo avvenimento. Secondo le fonti storiche i fiorentini quel giorno se ne stavano asserragliati fra le mura del paese, mentre i milanesi fra quelle di Borgo Sansepolcro. In realtà si trattò di una battaglia molto breve (durata forse soltanto poche ore), combattuta in un’afosa giornata d’estate. Alla fine i fiorentini riuscirono a respingere l’attacco delle truppe milanesi che ricacciarono dentro le mura di Sansepolcro. Nonostante siano trascorsi quasi 600 anni, camminando fra i campi assolati, sembra di respirare ancora la stessa aria densa del pulviscolo sollevato dai piedi dei fanti e dagli zoccoli dei cavalli. Tra Anghiari e Sansepolcro ci sono soltanto nove chilometri di strada eppure i due borghi  appaiono distanti mille miglia e non solo dal punto di vista linguistico.  A quel tempo gli abitanti di Sansepolcro accolsero i milanesi a braccia aperte ( per la paura di finire asserviti da Firenze) ma anche e soprattutto per l’odio atavico e reciproco che c’era fra i due paesi tanto che il Piccinino non ebbe difficoltà ad arruolare come fanti ausiliari un gran numero di biturgensi. La stessa cosa fecero i fiorentini con gli anghiaresi tra i quali si distinse il fabbro Renzino di Menco della Valle, che con uno spuntone si dice abbia ucciso e ferito parecchi nemici e per questo venne chiamato Renzino dello Spuntone. Finché visse fu stimato e onorato dai suoi concittadini per il valore dimostrato quel giorno. Oggi nella piana assolata non si sentono più le esortazioni e le bestemmie degli armati ma il rumore dei trattori dietro ai quali camminano decine di braccianti di colore. Io e Luca proseguiamo il cammino senza fretta ma quando all’improvviso ci ritroviamo nel bel mezzo di una brutta area industriale acceleriamo il passo desiderosi di lasciarcela alle spalle quanto prima. Ed ecco che al di là della strada ci appare la Pieve di Santa Maria a Corsano risalente al XII° sec. che si trova in piena campagna vicino alla frazione di San Leo. Prima di partire abbiamo chiesto al gentilissimo parroco della Propositura di Anghiari Mario Del Pia se era possibile visitarla ma l’edificio oggi è privato e versa in una condizione di semi abbandono, attorniato da ruderi e sterpaglie. E’ un vero peccato perché custodisce all’interno una splendida Madonna del Latte del 300 ma nessuno può vederla. Dall’esterno si può però ammirare la bella torre campanaria aperta da due ordini di bifore. Sembra che questa sia un’insolita soluzione costruttiva che la discosta dal semplice schema delle più piccole chiese romaniche. L’affresco della Madonna del Latte è probabilmente legato a una fonte d’acqua che si trovava nelle vicinanze del luogo dove è stata edificata la chiesa. Purtroppo sembra che il dipinto non versi in buone condizioni come  tutto l’interno della chiesa che è segnata da crepe. Le immagini della Madonna che allatta al seno Gesù Bambino in modo realistico non sono molto diffuse in quanto nel 500’ il concilio di Trento stabilì che era opportuno rimuovere o coprire con ritocchi tutte le immagini della Vergine che potessero apparire anche solo lontanamente di natura sensuale. Spesso tali immagini venivano poste in prossimità di fonti alle quali il culto popolare attribuiva l’effetto miracoloso di restituire il latte alle puerpere che l’avessero perso. 

Lasciata la pieve giungiamo dopo un paio d’ore di cammino in prossimità di Sansepolcro nel borgo di Grincignano che a quanto pare è molto devoto a San Francesco. Lungo la strada infatti sono stati apposti 10 pannelli che illustrano le gesta attribuite al santo dal titolo “La Via di Francesco in Valtiberina” disegnati tutti da artisti residenti nella vallata. Una croce è stata da poco ricollocata in un’edicola del paese. A quanto pare era stata eretta ai primi dell’800’ dal predicatore Baldassarre Audiberti (1760-1852) un misterioso personaggio (forse un ex soldato dell’esercito napoleonico)  che ha disseminato un po’ ovunque queste croci devozionali chiamate appunto “croci di Baldassarre” che presentano i simboli della passione: lancia, canna con spugna,chiodi,martello,tenaglie e scala. Sono molto diffuse in alcune località del Monte Amiata dove il predicatore fu particolarmente venerato.  Durante il percorso Luca si ferma più volte a scattare fotografie. Oltre a fare uso del cellulare, monta su un cavalletto una strana macchina fotografica che si è costruito da solo con le proprie mani. Si tratta di una scatola di legno che si rifà alle vecchie camere oscure (i prototipi della fotografia) che non avevano né obiettivo né lenti. Quella di Luca cattura la luce da un foro piccolissimo che lui ha praticato su un pezzetto di carta stagnola.

“E’ una macchina stenopeica” mi spiega. Fa uso di pellicole a sviluppo immediato come quelle delle vecchie Polaroid.  Ovviamente i tempi di esposizione possono essere molto lunghi, anche cinque o dieci minuti.  “Non si sa mai cosa verrà fuori fino a quando l’immagine non si imprime sulla pellicola” continua Luca. Il suo entusiasmo per la fotografia è talmente contagioso che durante il percorso non mi sono affatto annoiato a starmene per qualche tempo da solo, in silenzio, mentre Luca cercava di cogliere con pazienza l’inquadratura giusta. Abbiamo condiviso i successi e le tante delusioni per un’immagine sovraesposta o poco leggibile.  Del resto, il cammino, se è un vero cammino, ha bisogno dei suoi tempi e deve essere lento. Non bisogna mai avere paura di non arrivare. Le giornate passate a camminare con Luca sono state lunghissime, ma ci hanno fatto vivere di più perché ci siamo concessi la libertà di fermarci per assaporare ogni momento. E così , lentamente, siamo giunti a Sansepolcro nella splendida Piazza di Torre di Berta. Leggenda vuole che il paese debba la sua fondazione proprio a due pellegrini. Pare che un greco e uno spagnolo, Arcano ed Egidio, tornando da Gerusalemme portando con loro alcune reliquie, si fermarono nel luogo dove poi sorse il borgo.  Arcano fece un sogno nel quale una voce lo invitava a fondare una città in onore del Santo Sepolcro di Cristo. La notizia si sparse e molta gente decise di costruirsi un’abitazione nel luogo della visione avuta dal pellegrino. Io e Luca non abbiamo il tempo di ammirare gli affreschi del più illustre cittadino di Sansepolcro “Piero della Francesca” conservati al Museo Civico, ma facciamo comunque una visita alla cattedrale dov’è conservato “Il Volto Santo”.  Una statua lignea più antica e forse più bella di quella conservata a Lucca. La tradizione vuole che il volto sia stato scolpito da Nicodemo su ispirazione divina e che rappresenti quindi il vero volto di Gesù. 

Usciti dalla Chiesa ci dirigiamo alla Foresteria di Santa Maria dei Servi in pieno centro storico. Si tratta del luogo di accoglienza ufficiale dei pellegrini francescani. L’edificio, completamente ristrutturato,  è ubicato in un antico convento impreziosito da antichi affreschi e da mobili antichi.

DA ANGHIARI A SANSEPOLCRO

Lunghezza: 14 km

Salita: 92m

Discesa:189m

Tempo di percorrenza: 3h 30min (escluse le soste)

Tipologia: strada bianca (60%), strada asfaltata (30%), sentiero (10%).

Difficoltà: Facile

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